venerdì 17 giugno 2011

La siepe d'oro

Due amiche, la passione per il canto, il destino che sembra favorirne una. Due vite che si dividono: chi è stata baciata dalla fortuna per la carriera non è altrettanto fortunata negli affetti; l’altra continua la sua vita tranquilla dopo aver perso una grande occasione… ma trova l’amore.
Questo è in breve ciò che ricordo de “La siepe d’oro”, un libro di Adriana de' Gislimberti comprato per caso dai miei genitori in una collana di narrativa per ragazzi. Ricordo estati immerse nella lettura (e nella rilettura) di questo testo insieme ai classici per fanciulle come “Piccole donne” e “Polly”.
Spinta dalla curiosità (e dalla nostalgia) per questo libro che non vedo da anni (nell’ormai lontana casa dei miei, questi testi sono nascosti in fondo a scaffali dietro a oggetti di uso più quotidiano), ho fatto una normale ricerca su internet. Ho avuto la sorpresa di trovarmi di fronte ad un libro ignorato dal web.
Nella mia ricerca, ho trovato il titolo solo in qualche catalogo di piccole biblioteche. Qualcuno cerca di venderselo (troverà mai un acquirente?).
Questo mi spinge alla riflessione sulla selezione del sapere a cui ci porterà il web (libri come questo forse finiranno cancellati dalla memoria), ma anche sulla progressiva estinzione della letteratura per ragazzi.
A che serve oggi la letteratura per ragazzi?
Oggi esistono dei fenomeni (pochi) come Harry Potter, che vengono quasi imposti a quei pochi ragazzi che ancora leggono, facendo sì che la cultura sia già dagli inizi piatta e uniforme e che gli scambi siano quasi impossibili. Tutto questo nella migliore delle ipotesi (ossia che si legga ancora).
Oggi i ragazzi non hanno interesse a leggere. La tecnologia, internet e la comunicazione virtuale divorano le giovani coscienze che ormai non hanno più bisogno di sfogliare le pagine di un libro.
Ma io quella “siepe d’oro” me la ricordo ancora.
Spero che ci sia sempre qualcuno che, almeno in qualche periodo della vita, senta ancora il bisogno di costruirsi la propria "siepe d'oro", spegnendo tutto e ritrovandosi in solitudine, riscoprendo il piacere dell’introspezione e della ricostruzione fantastica nella lettura.

martedì 22 marzo 2011

Napoli, Napoli mia!

Ho vissuto ventotto anni nella città più bella del mondo senza rendermene conto.
Passeggiavo quotidianamente per vie piene di storia, circondata da opere d’arte, camminavo per strade che ancora nascondono segni di un passato ultramillenario, di civiltà di cui noi eredi portiamo ancora segni latenti.
Avevo musei a disposizione, quello archeologico tra i principali, al crocevia di un traffico perenne. Nel silenzio di quel tempio collegavo statue e scritte ai miei studi, ponendomi le mie domande sul passato, per poi  uscire e immergermi in vie trafficate di shopping e passeggio.
E studiavo lì, in quella biblioteca grandiosa, nella reggia in cui aleggia ancora lo spirito dei Borbone mandati via dall’ineffabilità storica. Studiavo di fronte al mare, quel mare che non smette d’inebriarmi quando passo per la mia città e i dintorni.
Davanti al golfo e a Sorrento il sublime ti pervade, e ti rendi conto che mano umana non può superare quella di un Creatore che ha voluto farci dono di capolavori da contemplare. L’uomo può aggiungere solo qualche spennellata.
Ho vissuto così, dando tutto per scontato, assuefatta a tanta generosità di bellezza.

Altrove ho cercato tratti di quel bello. Ho girato, sperimentato, provato sensazioni. Mi sono accorta che le sensazioni più belle si esprimevano, non come fuoco ma come ricordo di tepore, quando mi si offriva un segno di similitudine con la mia amata Napoli.
Altrove ho amato il movimento cittadino, nel ricordo del suo perpetuo affaccendarsi. Ho amato il far niente domenicale in strada, perché vi ho rivisto il piacere del tempo che passa presso la mia gente. Ho sospirato davanti al lago… perché m’illudevo che fosse il mio mare.

Non ho più bisogno di cercare. So che non potrei desiderare più di ciò che ho avuto davanti per tanti anni: il bello ora non può essere che reminescenza.

Napoli mia, c’è chi ti ama e chi ti critica, ma niente, niente potrà superare, niente può vincere il legame, l’amore, la passione che porta con sé il napoletano nel mondo.

E non cercate di spiegarlo a chi non conosce: non capirebbe…

giovedì 6 gennaio 2011

La Befana

C'è ancora chi ne parla, ma a me sembra così lontana...
Da piccola era lei a portarmi i regali, Babbo Natale per me era solo un personaggio dei film.
La notte del 6 gennaio aveva qualcosa di magico: tutto illuminato fino a tardi, bancarelle di dolci e giocattoli per tutto il "Perrone"... e io che mi chiedevo a che ora sarebbe comparsa la bambola e avrei trovato la calza appesa al mobile (una calza elastica lunghissima... altro che calzini di stoffa colorati!).
Non so fino a quando ci ho creduto, non so se ci ho mai creduto a questa vecchia che se ti trovava sveglio ti dava una botta in testa con la scopa, ma il fascino continuava. Tra me e mia sorella, molte bambole sono passate per casa nostra, tanti dischetti le cui canzoncine hanno fatto da colonna sonora alla nostra infanzia, da "E' arrivato l'ambasciatore" a "Accidenti! Cosa ho fatto? Mi è scappata la pipì...", da "Sono una bambola carina" a "Io sono contadinella", a "Sotto il sasso c'è un girino"... sicuramente ne dimentico qualcuna... ah sì, anche quelle di Winnitu (bambolotto Sioux)...
Ma una delle bambole che ricordo meglio era muta, ma morbida morbida, nemmeno tanto bella poi: era Camilla, la bambola con il passaporto (un presagio?...).
Poi si cresce. Avevo dieci anni (nemmeno poi tanto grande a pensarci) e la Befana non aveva l'autonomia di sempre. Mamma era all'ottavo mese di gravidanza e non poteva stare troppo in giro a scegliere i regali, ma io fino all'ultimo non volevo crederci, non volevo rinunciare al mio giocattolo. Sbirciai furtivamente sotto il letto dei miei (dove sapevo che "la Befana" nascondeva i regali) e in una borsa vidi solo una stoffa bianca imbottita: era un giubbotto... che non ho mai digerito. Volevo un giocattolo... ancora per una volta.
Ma ero grande ormai.

Sono passati gli anni. Cosa darei per passare ancora questi giorni a Napoli! Girare per le bancarelle, vedere luci, confusioni, fare anch'io da Befana... invece sono in un posto dove non si sa nemmeno chi sia.
Qui il 6 non è festa, ma c'è una tradizione: la Corona dei Re Magi. Sono in vendita dei dolci circolari in pane di brioche o altro con una statuina raffigurante uno dei Magi nell'impasto (sostituita secondo la tradizione anche da un fagiolo o una mandorla) e, quando in famiglia si divide questo dolce a tavola, chi trova la statuina diventa re per un giorno (si mette in testa una corona in cartone). Mi sembra che sia una tradizione francese.

Tradizioni un po' diverse, no?
Buona "Befana" a tutti.