giovedì 2 aprile 2009

Il mio vivere straniero

Scrivo questo post da Napoli.

Chi si allontana sa che ogni ritorno a casa rappresenta una riscoperta di sé: ogni volta si recupera un pezzetto obliato di vita passata, ogni volta c'è la possibilità di trovare un nuovo nesso tra quel passato scordato e il futuro ancora da costruire.

La traversata va oltre le nove ore di treno che separano Napoli da Sion.
Attendo con piacere la scoperta che mi donerà questa nuova "discesa".

Mi ero fermata alle dimissioni: cosa è successo dopo?
Tutto e niente: niente perché sono ancora disoccupata, tutto perché ho riacquistato la speranza di una vita più adatta a me.

Come buona parte della mia generazione, non ho idee chiare sul futuro.

Desideravo questo "vivere straniero", sapevo che prima o poi sarei partita. L'essere straniero è forse uno stato innato. Viaggiavo senza mezzi, con la mente, con le persone, fuggivo la vita stabile. Ammiravo le persone senza sede fissa, anche con un certo spavento (non volendo escludere l'idea di una "normale" vita familiare).

Ricordo Junko, "ragazzina" giapponese vicino ai cinquanta, all'epoca abitante a Parigi, che nascondeva dietro un corpo di ragazzina uno spirito ancora più giovane: pur con tre figli sembrava sempre capace di mettersi in discussione... e di cambiare Paese (non ho idea di dove sia ora). Mi diceva con occhi estasiati che il faut vivre à l'étranger. Senza una spiegazione razionale, io la capivo.

Non avevo un'idea chiara del mio vivere straniero. Pensavo ad un'iniziale vita di stenti, avrei toccato con mano un'altra umanità, avrei sentito gli odori di un'altra città, conosciuto una nuova cultura, imparato una nuova lingua.

Ringrazio il lavoro svolto fino a poco fa perché mi ha risparmiato gli stenti e mi ha dato un permesso di soggiorno che mi permette ora di vivere una disoccupazione relativamente tranquilla. Ma il lavoro opprimeva tutto il mio modo d'essere. Ho conosciuto sì un'altra umanità, ma italiana, quasi interamente del Sud, allontanatasi spesso in modo doloroso dai luoghi d'origine. Avvertivo un oscillare nei rapporti tra partecipazione emotiva e chiuso egoismo, troppo spesso rivalità e tentativi di prevaricazione in azienda, per delle posizioni in un ambiente che probabilmente disprezzavamo un po' tutti. Un call center che cercava di appiattire tutti, e tutti che avevano una necessità di affermazione di sé accentuata dal vivere straniero.

"Secondo me, andare fuori è stato, per te, andare alla ricerca della tua identità. Il problema è che hai deviato dal tuo percorso, perché io credo che quello che ci piace ci rispecchia, e il lavoro che stai facendo lì non credo affatto che ti rispecchi…". Questo mi scrisse la mia amica Cristina per sms: a volte gli amici ci conoscono molto bene.

Ho lasciato quel lavoro. Dopo tre giorni ho iniziato delle supplenze in un liceo cantonale (ammetto di aver avuto una discreta fortuna…). Tramite i ragazzi, ho avuto modo di iniziare ad osservare la Svizzera da altri punti di vista, ho "indagato" sulle loro conoscenze dell'Italia e di Napoli (considero una mia missione la rivalutazione dell'immagine della mia città...) e, soprattutto, ho avuto conferma della mia passione per l'insegnamento.

Le supplenze per ora sono finite da tempo. Intanto mi sono dedicata ad un corso intensivo di francese ed ho iniziato a frequentare ambienti culturali della regione. Ora è tutto aperto davanti a me ed io... continuo ad essere la protagonista di questo romanzo di formazione non scritto...
arcobaleno dalla mia finestra