Tempo fa ho letto un articolo sul progetto di un
apparecchio che dovrebbe registrare in maniera inconsapevole dei particolari
momenti della vita: un casco con una telecamera incorporata che si attiverebbe
solo allorquando il subconscio prova emozioni.
Certo il pensiero di girare con questo caschetto in testa
è un po’ ridicolo e poi i ricordi rimangono in noi, senza necessità di una
macchinetta esterna. Inoltre avrebbe senso mostrarli ad altri? Non ci basta il
modo in cui Facebook soddisfa le nostre manie di protagonismo e il bisogno di
impicciarci delle vite altrui? E poi... non bisogna troppo soffermarsi sui ricordi
(e lo dice una nostalgica...).
Tuttavia mi chiedo quali sarebbero i ricordi che mi
piacerebbe rivedere. Molte scene forse non sarebbero nemmeno state registrate, poiché sul momento non hanno provocato in me emozioni particolari e
proprio la constatazione del passare del tempo e del cambiamento le rende
preziose.
Camminando per la mia Napoli, ho trovato ovviamente molti
posti dei miei ricordi cambiati. Non sono cambiati tutti in una volta, ogni volta
noto qualche cambiamento, e penso a scene del passato che non potranno più
tornare.
Ricordo le passeggiate alla Upim di Piazza Matteotti
(ormai da anni sostituita prima dalla Trony e poi dalla Eldo), con la musica in
sottofondo di cui comprai anche la cassetta, tanto che mi piaceva. Ricordo i
pomeriggi solitari al cinema Adriano, di cui è rimasta solo l’insegna e al cui
posto c’è oggi un supermercato… Beh, sulla strada dal centro di Napoli a casa
vedevo sempre quel cinema che non ha goduto di miglior sorte: il cinema Gloria,
nei miei ricordi solo un’insegna con ben poco di “glorioso” se non la
persistenza nella toponomastica popolare (già all’inizio del liceo, la mia
amica Flora mi diceva di abitare vicino all’”ex cinema Gloria”). La stessa
sorte ha toccato molti altri cinema cittadini e non posso fare a meno di citare
anche quello del mio quartiere (Secondigliano), il cinema teatro Arcobaleno
(poi Maestoso), di cui non ho idea di cosa sia stato fatto: non lo vedo da
quando io e Flora ci portammo fratelli e sorelle a vedere “Il gobbo di Notre
Dame” (loro a ridere, mentre noi eravamo quasi in lacrime per la commozione).
Torno al centro di Napoli. Molte cose sono inalterate,
come l’arancino all’angolo di via Monteoliveto, ma la gente cambia. E passando
per l’università non posso non pensare con tristezza che oggi il mio professore
della tesi non c’è più.
“Fino a quando ci sei ti senti al centro
del mondo, ti sembra che non cambia mai niente. Poi parti. Un anno due, e
quanno torni è cambiato tutto: si rompe il filo. Non trovi chi volevi trovare.
Le tue cose non ci sono più. Bisogna andare via per molto tempo, per moltissimi
anni, per trovare, al ritorno, la tua gente, la terra unni si nato” dice
Alfredo in “Nuovo Cinema Paradiso”, ma forse, dopo tanti anni, sarebbe meglio
non ritornare.
“Cosa c’è di meglio del ricordare? Ritornare sui posti della vita passata a
compiere verifiche e rievocazioni è sempre un passo sbagliato. Non si aggiunge
nulla ai ricordi e anzi si guasta il lavoro della memoria, si confondono le
immagini già chiare che il tempo ha composto e si smentisce la pura verità
della favola nella quale tutto ancora può vivere. Ma si vuole forse ritornare
proprio per farla finita coi ricordi, per rimestarli, appesantirli, metterli in
condizione di colare a fondo e di perdersi finalmente nel passato. È col
ritorno che si pone per sempre una pietra sugli anni che non ci somigliano
più” (Piero Chiara).
No, spero proprio di non arrivare a questo
punto!
Il tempo passa, ma per fortuna qualcosa può anche cambiare in meglio. Ce lo dice
ad esempio, in via Duomo, il museo Filangieri recentemente riaperto al
pubblico: un piccolo gioiello. Già da un po’, poi, è stata riportata allo
splendore la chiesa di Sant’Anna dei Lombardi, ricca di opere rinascimentali,
per tanti anni in restauro e aperta in orari molto limitati. Oggi è finalmente
conosciuta e apprezzata, ma una quindicina d’anni fa eravamo in pochi a
passeggiare sotto le sue impalcature (ci andavo così spesso che si formò lì un
gruppetto di amici): ora è stupenda, ma, nel mio ricordo, quella “da scoprire”
era più “mia”.
Che dire poi delle istantanee scattate dalla memoria in famiglia? Tutte
staccate tra loro dall'oblio e molte sfocate. Ricordo i pomeriggi con
mia cugina Lisa e mia sorella Francesca che ci insegnava a lavorare
all’uncinetto; il famoso 149 con cui mamma ci accompagnava in palestra e
quella volta che per lo sciopero degli autobus ce la facemmo a piedi, pioveva e
a casa c’era pure Francesca con la febbre. Ricordo babbo che la sera ci aiutava
a fare i compiti e ci faceva ripetere le tabelline; ricordo poi la mattina in
cui mi hanno detto della nascita di Raffaele, mio fratello. Torno di nuovo a
tempi più lontani e vedo sbiadito il ricordo di me in macchina che chiedo ai
miei se il terremoto (nell’80) si fosse preso la mia torta di compleanno.
Arrivo a tempi più recenti. Mi rivedo a poco più di
cinque anni fa, di ritorno da una vacanza estiva a Perpignan con la mia amica
Filena, a gironzolare solitaria e triste per Sion, dove di veri amici non ne
avevo. E vedo un viso sorridente di un nuovo collega, arrivato da poco, lui che
avrebbe avuto più motivi di me per stare giù. Ora è mio marito.
Sì, credo proprio che le foto e i video più significativi
della nostra vita siano quelli mai ripresi... e probabilmente nemmeno da
riprendere: anche se suscettibili di alterazioni, stanno bene nella memoria di
ognuno di noi.