Era
estate quella lenta, noiosa, di pomeriggi sudati sul lettone di mamma alla
ricerca del fresco.
Quella
delle giornate al mare con la famiglia, con la sensazione dei piedi insabbiati
sulle pedane di legno e il pranzo all’ombra delle cabine.
Quella
tra bambine a inventarci come passare il tempo, tra balletti improvvisati nel soggiorno,
storie e interviste registrate con i mangianastri (che puntualmente mangiavano
i nastri) e lavori all’uncinetto, con quel centrino ancora incompleto.
Era
estate quella che aspettavamo per la fine della scuola, da cui ci congedavamo con quei “compiti per le vacanze” (iniziati solo a settembre),
quella in cui divoravamo i libri che ci piacevano della collana per ragazzi
“Bietti”, sempre gli stessi, con le copertine belle.
Era
estate quella delle villeggiature sul litorale domizio, dove andavano tutti e
nessuno si vergognava a raccontarlo. Quella del mese intero, lungo, sospeso, ma
che finiva sempre troppo presto.
Era
estate quella a cui ci si preparava con gli esercizi di ginnastica trovati sul “Cioè”,
per preparare il fisico per la spiaggia. Era quella scelta sofferta del costume:
due pezzi o intero?
Era
estate quella con gli amici e con i primi ragazzi, nella quale si facevano progetti e
calcoli per quella giornata al mare o per una settimana lontani dalla famiglia.
Era
estate quella.
“Fuori”
l’estate è soffrire meno il freddo, è voglia di uscire per approfittare di un bel
tempo che non si sa quanto durerà, è voglia di organizzarsi con quei pochi amici
(se ci sono) prima che scompaiano chissà dove.
L’estate
altrove è voglia di ritagliarsi un po’ di tempo per rivivere un po’ di quell’estate
di ieri. Una settimana, due, tre, no… non è più estate.
L’estate
lontano è un’illusione, un sogno breve atteso un anno intero che, se riesci a viverlo,
finisce sempre troppo presto.